waterguards

installation

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photo by Tamara Triffez

photo by Elisa Resegotti

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WATER-GUARDS

Testo critico


di Daniela Voso

4 settembre 2008


Water-guards si compone di una serie di oggetti di legno di forma cilindrica con la  parte superiore convessa, a ricordare una testa umana. I tronchetti sono disposti in un ambiente acquatico e tarati con dei pesi, che li mantengono per buona parte sotto il livello dell'acqua lasciandone affiorare solo la sezione superiore.

Vestiti con occhialetti e cuffie da piscina arancioni accese, questi tronchi sembrano dei natanti e più in particolare dei bagnini, come viene suggerito dal titolo stesso dell’opera.

L'uso del colore arancione è una costante del lavoro di Koopmann, che lo sceglie per la sua capacità di evocare una condizione di emergenza. Questo, infatti, è il colore delle ambulanze, come dei mezzi di soccorso in mare ad esempio.

Water-guards è un lavoro che offre al suo spettatore diversi piani di lettura, sia da un punto di vista stilistico e del linguaggio, che dei contenuti veicolati.

Sul piano linguistico, Water Guards ha di fatto acquisito le esperienze che nel XX sec. hanno attuato il superamento di un concetto tradizionale di scultura statica e monumentale, a partire dal primo ready made di Duchamp, La ruota di Bicicletta (1913), fino alle opere mobili di Alexander Calder, o alle macchine di Jean Tinguely. Questo lavoro di Koopmann, infatti, potrebbe definirsi una negazione degli elementi strutturali della scultura. In primo luogo l'opera è un insieme di multipli, privi di un legame con il terreno, liberi di muoversi in una dimensione fluida come l'acqua e privi di piedistallo, se non si vuole tenere conto dei pesi che ne costituiscono la taratura, i quali piuttosto che elevare l'opera ad una maggiore visibilità per lo spettatore la nascondono in parte. Alcuni di questi torsi, inoltre, sono legati ad una corda, sempre di colore arancio acceso, agganciata a delle basi metalliche disposte sul fondo della piscina, in modo da limitare il margine di fluttuazione delle teste e mantenerle più o meno nello stesso margine di azione.

A ciò si aggiunge che in water-guards emerge un'attitudine giocosa, di matrice dadaista, capace di mettere in discussione le certezze e le aspettative dello spettatore, il quale si ritrova ingannato nello scoprire che ciò vede non sono uomini al bagno, ma oggetti: feticci.

Proseguendo la lettura dell’opera dal punto di vista dei contenuti, si è già suggerito che in essa si ritrova l'evocazione di una figura facilmente individuabile, come quella del bagnino: un uomo che lavora in acqua, e che si può riconoscere tra gli altri dai colori che indossa; un uomo le cui mansioni sono quelle di vigilare e prestare soccorso. Un lavoro quindi, destinato alla protezione e alla salvaguardia di un momento di svago e divertimento, ma chiaramente anche alla sicurezza di numerose persone.

Tuttavia questo immaginario che si viene a creare è immediatamente negato dall'assenza di azione. Gli osservatori vigili, se così possiamo chiamarli, sono ritratti in un gesto ozioso, mentre si bagnano pigri, muovendosi lentamente in acqua, come se stessero prendendo il sole e si fermassero a parlare tra loro.

Testine inquietanti, la cui carica espressiva, non risente dell’assenza di corpo e di connotati. Piuttosto che dei bagnini solerti, vigili e pronti all'azione, queste figure sembrano essere ridotte a emblema di un machismo edonista che fa di loro dei body-guards, oltre che water-guards, trasformati in pupazzi, compiacenti della propria indolenza.

E’ chiaro, ma necessario precisare, che non si tratta di un attacco, né di una critica, ad una categoria di lavoratori specifica, come i bagnini o gli addetti alla sicurezza. Water-guards vuole essere piuttosto l’allegoria di un meccanismo che tiene ostaggio una società, dove se da un lato si invoca alla sicurezza, dall’altro non ci si rende conto che si sta affondando, socialmente e culturalmente. A causa dell’assenza di volontà, di strutture e personalità, in grado di salvare il salvabile, perché anche loro costrette dal proprio ozioso edonismo. Un meccanismo di difesa che mira al dito e non alla luna, per intenderci.

Un messaggio facilmente riconoscibile, sia per l’impiego di un elemento visivo e cromatico, come l’arancione, tipico dei mezzi di soccorso e proprio dell’immaginario collettivo e dunque facilmente interpretabile; sia per il richiamo esplicito al lavoro di Joseph Beuys, che già aveva espresso il suo richiamo ad una condizione di emergenza, identificando nel feltro l’elemento salvifico e di protezione.

Diversamente da Beyus però, Koopmann si appropria di un simbolo collettivo e non intimo, come il feltro, che invece è legato ad un’esperienza e ad un vissuto strettamente personali dell'artista belga. Un simbolo quindi, quello di Koopmann, che può essere letto e codificato con immediatezza dallo spettatore, come simbolo dell'emergenza e del soccorso.

E dunque se il lavoro di Beuys alludeva ad una situazione di crisi della cultura occidentale, in un dibattito internazionale che si inseriva in un panorama scisso in due blocchi, quello Sovietico e quello del Patto Atlantico, per Koopmann resta la domanda: “Cosa c'è da salvare? Cosa ha bisogno di un soccorso? Ma soprattutto, questo soccorso è possibile?”

Il colore arancione evoca l'intervento di una squadra d'emergenza, ma necessita dell'azione di uomini pronti ad intervenire. Il feltro ha un potere salvifico in sé: racchiude l'uomo lo protegge, lo cura.

Chi indossa il colore arancione dovrebbe quindi farsi portatore di salvezza, ma in questo caso, di lui non resta che un feticcio.